Martedì 20 maggio 4 compagni e compagne del Network Autorganizzato e
del Nucleo Studentesco Metropolitano si sono visti recapitare un
decreto penale di condanna a sei mesi di detenzione convertita in pena
pecuniaria di 3520 euro ciascuno (per un totale di 14mila e 80 euro!).
Il provvedimento di condanna è motivato con la presunta violazione
dell’art. 18 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS),
articolo che prevede una pena fino a sei mesi di detenzione (o la sua
conversione in ammenda) per chiunque organizzi una riunione pubblica
senza preavvisare le autorità di Pubblica Sicurezza. Secondo gli
accusatori, le compagne e i compagni condannati avrebbero violato tale
disposizione del TULPS in occasione del presidio che si tenne nel
luglio scorso in via Scarlatti, organizzato dal movimento antifascista
e antirazzista napoletano e grazie al quale si riuscì ad impedire lo
svolgimento di un’iniziativa di Forza Nuova.
E’ utile ricordare che il TULPS è del 1931, la norma in questione
appartiene, dunque, a quelle numerose disposizioni legislative che ben
rappresentano la continuità tra lo Stato fascista e la Repubblica
democratica: continuità di potere, di interessi, di classe dominante
padronale, e quindi anche continuità normativa e repressiva. Il TULPS è
parte integrante di quell’apparato di norme e procedure finalizzate
alla persecuzione politica, edificato appunto negli anni venti e trenta
del novecento per colpire i lavoratori e le loro lotte, e che la
Repubblica “fondata sul lavoro” non ha mai abrogato.
Al contrario, le norme fasciste sono quotidianamente fatte valere e
applicate dallo Stato democratico, senza alcun imbarazzo, ogni
qualvolta le autorità intendono perseguire finalità di repressione
politica ai danni di compagni e lavoratori.
L’iter della contestazione (Art 459 del Codice di procedura penale)
è subdolo e sconcertante: d’ufficio si procede, infatti, ad infliggere
una condanna (senza preoccuparsi di dare agli imputati alcuna
possibilità di difendersi) ogni qual volta la pena sia pecuniaria o
detentiva tramutabile in ammenda. E’ necessario, per poter avere un
“regolare” processo, preoccuparsi di presentare un ricorso entro dieci
giorni; in caso di mancato ricorso si accetta di fatto la condanna.
Appare evidente che l’intero procedimento miri a intimidire e
demoralizzare la risposta politica dei compagni.
Al di là della forma procedurale, la questione che, a nostro avviso,
merita maggiore attenzione è proprio il reato contestato. Distribuire
volantini e parlare al megafono non è più permesso senza previa
autorizzazione. Queste condanne sono, in breve, al contempo grottesche
e allarmanti e meritano alcune considerazioni politiche.
Tanto per cominciare, esse chiariscono una volta per tutte come non
sia possibile continuare a impostare le proprie riflessioni sulla
repressione incentrandole unicamente sui soggetti di volta in volta
repressi e sulla valutazione delle loro azioni, senza preoccuparsi di
cogliere l’elemento politico che l’atto repressivo sta a rappresentare.
Occorre, dunque, spostare l’asse del ragionamento sull’ineliminabilità
e la presenza costante della repressione e su come essa venga
diversamente applicata di volta in volta. Far partire un procedimento
per un fatto che appare a tutti chiaramente come una pratica diffusa e
consueta, ci dà chiaramente l’indice dell’asprezza dell’attacco
repressivo che registriamo sia a livello europeo che, naturalmente,
nazionale in questa fase.
E’ chiaro che ormai l’attacco è diretto ai più semplici spazi di
agibilità per ridurre al silenzio qualsiasi voce di dissenso. Per far
fronte a questo attacco unilaterale è opportuno dotarsi di una
attrezzatura politica che occorre costruire con una riflessione, un
dibattito e una pratica appropriati. In questi anni abbiamo, impotenti
(e a volte indolenti), assistito alla sottrazione di conquiste che
pensavamo acquisite (si pensi, per dirne una, all’occupazione dei treni
per i cortei nazionali); ampi settori del movimento hanno, infatti,
deciso di arretrare di fronte a questi attacchi, nella speranza che
tale rinuncia potesse garantire spazi di agibilità. E’ evidente ormai
che questo ragionamento risulta essere fallimentare e che è opportuno
invece non arretrare ma difendere le nostre lotte e la nostra stessa
possibilità di fare politica in modo autonomo ed autorganizzato,
comprendendo che la reazione non si arresta e non si accontenta
dell’angolo in cui riesce a metterci ma che, con metodo, lavora
all’annientamento del proprio antagonista e che dunque non è possibile
nessuna forma di compromesso con essa.
Altro elemento che non possiamo non sottolineare è la scelta
politica del bersaglio della reazione. Non è certamente casuale che il
provvedimento di “condanna per decreto” arrivi al termine di un anno di
mobilitazioni e lotte che hanno visto le compagne e i compagni
impegnati quotidianamente contro la precarietà, per i diritti dei
lavoratori e attivi sul terreno dell’antifascismo, dell’antirazzismo,
dell’antisessismo, della solidarietà internazionalista, nonché interni
al più vasto movimento contro la guerra e per i diritti sociali.
Sia il merito del provvedimento che la forma procedurale adottata,
dunque, confermano la matrice squisitamente politica dell’attacco.
Colpendo quattro compagni e compagne hanno inteso colpire un
insieme di percorsi di ricomposizione delle lotte, percorsi costruiti
in piena autonomia dalle istituzioni e lontani da qualsivoglia
compromesso con partiti e forze istituzionali.
Il messaggio che hanno voluto recapitare a tutti noi è il seguente:
“perseverare nel fare politica in maniera realmente autonoma e
autorganizzata è qualcosa che non conviene, perché in una maniera
o nell’altra troveremo il modo di farvela pagare sul piano personale,
eventualmente anche scavando in ottant’anni di legislazione repressiva”.
Ma hanno fatto male i loro conti.
Siamo comunisti, e non ci lasceremo certo intimidire. Continueremo a
sviluppare le nostre lotte e il nostro lavoro politico con una
determinazione sempre maggiore e sempre in una direzione precisa,
immodificabile: contro la classe dominante e i suoi servi, contro il
fascismo, il razzismo e l’imperialismo; per l’autorganizzazione e
l’emancipazione degli oppressi e degli sfruttati!
Firme
C.S.O.A. Terra Terra
Collettivo Vesuvio Zona Rossa – Comuni vesuviani
Collettivo Internazionalista – Napoli
Collettivo Orientale
Nucleo Studentesco Metropolitano